Talkshock – Luca Tommasini

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Talkshock – Luca Tommasini

Dopo tutte le esperienze lavorative che hai fatto, essendo entrato in contatto con molte realtà di spettacolo sia in Italia che all’estero, cosa pensi manchi al nostro Paese in materia di intrattenimento?

In Italia c’è una televisione molto sviluppata, dall’altra parte invece, il mondo della musica fa molta fatica a trovare lo stesso spazio, perché mentre ad Hollywood il cinema, la musica e la televisione, sono tutte in prima linea, cioè sullo stesso livello, invece nel nostro paese c’è prima la televisione, poi la musica e il cinema, per questo è faticoso quando si vuole fare spettacolo nel mondo della musica e nel mondo del cinema.
Io spesso ho investito nel cinema e sulla musica italiana, accettando anche a condizioni molto differenti rispetto a quelli che sono i miei contratti internazionali e spero che questa cosa cambi, anche grazie ai nostri cantanti; grazie a Maneskin, Andrea Bocelli, Laura Pausini, abbiamo ricevuto l’attenzione mondiale e poi a breve avremo l’onore di ospitare l’Eurovision in Italia.
Abbiamo gli occhi puntati addosso, quindi penso che questo sia un buon momento, per un cambiamento.
In Italia il teatro fa ancora più fatica, è difficile mettere su uno spettacolo, con gli stessi strumenti, per esempio, che hanno a Londra e a New York.

Secondo te in Italia viene dato il giusto spazio alla danza?

Noi televisivamente diamo molto spazio alla danza televisiva, quella più commerciale, ne diamo meno al teatro, alla danza classica, poco rispetto alla nostra storia, ce la dimentichiamo, tradendo quelle che sono le nostre origini, siamo stati leader della danza classica nel mondo.
Televisivamente lo siamo ancora, i nostri programmi tv sono mega produzioni, che sono molto importanti, la televisione è molto forte in Italia.
Purtroppo ultimamente c’è pochissimo lavoro per i ballerini, molti di loro soprattutto con il Covid, hanno abbandonato la professione, come anche altri professionisti del settore e quindi oggi c’è un mercato difficile, è complicato fare la professione del ballerino come era possibile prima.
Molti ballerini al giorno d’oggi, riescono a confondersi, grazie ai social e ad Internet, si è diventati tutti un po’ ballerini e influencer e quindi c’è confusione tra quelli che hanno talento e quelli che riescono a confezionarsi dei bei video per Instagram, fingendosi ballerini con esperienza.
C’è un po’ di ambiguità in questo senso.
Il vero ballerino e il vero talento, purtroppo è raro da trovare, proprio per la facilità che c’è oggi nel diventare famosi, il talento passa in secondo piano, questo secondo me è una grave problema.

Che consiglio daresti a tutti quei ragazzi che vorrebbe fare i ballerini professionisti o aspirano a diventare coreografi di successo in Italia?

Come prima cosa consiglierei ai coreografi di fare prima i ballerini, perché oggi sono tutti coreografi a vent’anni, si percepisce la mancanza d’esperienza, che secondo me conta tanto, serve fare la gavetta da ballerino, fare il lavoro da ballerino, quello ti insegna tantissimo. Per essere un coreografo interessante, non basta scopiazzare i passi in giro da YouTube, per quello non ci vuole nulla, ma poi manca il contenuto, il racconto, una stratificazione.
Poi per fare bene i ballerini, bisognerebbe studiare tanto, tantissimo, anche chi inizia tardi, perché se si brilla e si ha un talento naturale, si può arrivare lontano; ma bisogna farsi il “culo” più degli altri, quando gli altri sono in vacanza bisogna andare a studiare.
Infatti quando mi trovo a dover scegliere dei ballerini per un corpo di ballo, mi rendo conto che è difficilissimo, non esistono più i danzatori di prima, perché scelgono tutti la strada facile.
Poi la bolla di sapone del ballerino che non ha talento scoppia, perché poi quando metti un ballerino professionista sul palco la danza parla, non reggi sul palcoscenico se non hai studiato, la danza parla una lingua molto chiara, solo i “veri” ballerini “tengono botta”.
Per avere mestiere e fare carriera bisogna avere le basi, una struttura e bisogna fare tanto anche più di quanto ho studiato io, infatti io non sono andato in vacanza fino a trent’anni per studiare l’estate.

La tua storia è un po’ quella di Billy Elliot della periferia romana. Come ti sei sentito la prima volta che hai toccato il pavimento della tua prima scuola di danza?

Io avevo paura, avevo paura di qualsiasi cosa, ma in realtà quel pavimento, quel profumo, quell’odore, non li dimenticherò mai. Sono tornato due anni fa nella scuola dove ho iniziato a danzare, l’hanno aperta apposta per me, perché ora è chiusa e quando sono entrato ho sentito l’odore di quel parquet, di quel legno, perché per me è veramente casa, è il posto che mi ha accolto a braccia aperte e mi ha dato gli strumenti per fare tutto quello che volevo fare nella vita e forse molto di più.
L’odore della prima volta, che non si dimentica mai, ti riporta subito in quella dimensione lì.
Inizialmente era il posto più spaventoso, perché il posto più distante, diverso, con persone nuove, che invece poi è diventato casa mia già dal primo giorno.

Da Prima Valle sei arrivato a calcare palcoscenici accanto a mostri sacri come Madonna e Michael Jackson. Quanto c’era di quel ragazzo di Prima Valle sui palcoscenici del mondo su cui hai danzato?

C’era tutto, perché io pur volendo non riesco a dimenticarmi da dove vengo, anzi è difficile non essere me stesso, lo sono sempre stato; spesso mi sono guardato intorno per dire ma questa qui è Madonna, questo è Michael Jackson, perché sono rimasto sempre quello lì di Prima Valle, è stato difficile credere di essere altro o di diventare chissà chi, faccio fatica ancora oggi a considerarmi qualcuno. Mi sono sempre portato dietro mia mamma, perché ho sempre pensato a lei, perché mi ha sempre sostenuto, è lei che mi ha portato a scuola di ballo la prima volta, lei voleva fare la ballerina, non c’è riuscita e in un certo senso ho sempre ballato mano nella mano con lei, come quando mi difendeva da papà, che non voleva che andassi a scuola di danza. Proprio per questo sul palcoscenico non mi sono mai sentito solo.

Come si vive l’omosessualità in periferia? Come si affronta la discriminazione in primis all’interno della propria famiglia, ovvero, come si può non soccombere?

Non ho mai detto di essere omosessuale e odio essere incasellato in una categoria, sono per la libertà sessuale, e penso che ogni persona debba essere libera.
Io spesso ho detto di aver amato tutti quelli che volevo amare, donne, uomini, perché sono nato così, sono nato libero. Io non ho mai difeso l’omosessualità, ma la libertà, che pensavo mi fosse stata concessa da Dio.
Mi sono liberato da tutti i mali, quando ho capito che non dovevo avere il consenso di qualcuno per vivere le mie emozioni e per innamorarmi di qualcuno, che il giudizio degli altri non fosse importante, quando sono stato aggredito da bulli, da papà, da tutti perché ero un ragazzo libero particolare, facevo danza: “mi sono fatto la permanente a 12 anni perché ero fan di Michael Jackson, pensa un po’”. Quando tutti mi attaccavano mia mamma mi diceva, tu devi sempre essere libero e diverso, mi raccomando.
Alla mia prima comunione, un po’ perché non avevamo i soldi, abbiamo scelto di non mettere la giacca, ma il gilet e tutti mi guardavano perché non ero come gli altri.
Penso che nessuno debba spiegare quello che fa nell’intimità, ma che ognuno debba essere libero di fare quello che vuole, per me questa è una cosa molto importante, spesso mi hanno urlato frocio, mi hanno detto qualsiasi cosa, proprio per questo ho sempre voluto difendere il diritto di essere libero.
Quando poco tempo fa mi è successo un episodio in cui ho trovato sul citofono un bigliettino con scritto “vattene frocio!”, è stata una cosa molto strana, in realtà lì per lì ho reagito con forza, ma poi mi sono ritrovato sotto le lenzuola a piangere e sono ritornato a quando ero bambino che venivo aggredito con la stessa paura e ho capito quanto male mi fa….. una cosa terribile.
Spesso chi aggredisce, lo fa proprio perché ha dei problemi, lo fa chi non ha fatto pace con la propria sessualità e con la propria vita e allora dovremmo pur pensare che la vita di merda la fa chi aggredisce e non chi subisce, spesso però quest’ultimi non sono tutti forti come me o come altri e purtroppo a volte va a finire male.

Cosa diresti oggi, a quei ragazzi che vivono ancora le stesse difficoltà che hai vissuto tu. Come si scappa dalla periferia o dalle province ancora non pronte a comprendere che il mondo è cambiato e che l’omosessualità non è una malattia.

Io dico che bisognerà accettare il fatto che non dobbiamo andare d’accordo con tutti e che anche se si tratta di un nostro parente, non è detto che ci si debba spendere la vita insieme.
Non bisogna cercare per forza di educare i propri genitori e le persone vicine, ci possiamo provare, certo, però se crediamo ad una cosa e ne siamo convinti, se si ha la forza fisica, economica, fisica e mentale bisogna cercare la libertà in un altro posto nel mondo, a costo di andarsene.
Io me ne son andato per cercare lavoro, libertà e vita in tanti posti nel mondo, ce l’ho fatta, ma capisco che non sia facile per tutti. Non è detto che uno nasce in un posto e ci deve vivere per forza tutta la vita, però anche stare a confrontarsi con la gente piccola si rimane piccoli, delle volte bisogna guardare oltre gli orizzonti e scoprirne altri delle volte.

Quando e qual’ è la stata la prima volta che hai messo piede dentro Muccassassina?

Non mi ricordo esattamente quando è stata la prima volta, perché ne ho fatte veramente tante, però mi ricordo che era un appuntamento fisso, soprattutto le chiaccherate con Vladimir, ed altri nostri amici in camerino, era un momento di calore, perché ci vogliamo molto bene, perché abbiamo avuto successo insieme, ci siamo aiutati e sostenuti negli anni, ne abbiamo passate tante
La Muccassassina rappresentava e ancora rappresenta l’incontro di tante persone libere, per assurdo anche poco etichettate, era il mondo che ci sogniamo di vivere tuti i giorni: musica, allegria, nessuno ti chiede niente, chi sei, questo modo di vivere, libero è stato sempre molto affascinante.
La cosa che mi stupiva, era quella di vedere madri e figli, o di vedere l’anziano riscoprire il vicino di casa, di ritrovare quelle identità, che in televisione non c’erano, mancava questa parte di racconto.
La Muccassassina rappresentava come la foto della Benetton, tutti i colori dell’arcobaleno, era un attimo di ossigeno, di libertà, per dire allora esiste un posto così al mondo.

 

Intervista a cura di Paolo Di Caprio, Stefano Mastropaolo e Roberta Savona.

MUCCASSASSINA - TALKSHOCK - LUCA TOMMASINI


Credits

Foto: Fabrizio Cestari

 

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Foto: syder.ross

 

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