Talkshock – Guglielmo Scilla

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Talkshock – Guglielmo Scilla

È noto alla rete come Willwoosh, nome d’arte con cui tra i primi, ha scalato le vette dell’etere un video dopo l’altro. YouTuber, attore, scrittore, di una creatività che è un dono riservato a pochi, condita da un’ironia che spesso toglie il fiato. Mucca TalkShock ha incontrato Guglielmo Scilla, che sin dal lontano 2008 ha conquistato la rete, affermandosi come il primo digital creator d’Italia, portavoce di un’intera generazione nota ai più come Millennials.

Tra scrittura, recitazione e video virali, spunta anche la radio, per cui spesso ricopre con talento il ruolo di speaker. Dal suo coming out in poi, diviene attivo personaggio della comunità LGBTQIA+, di cui oggi racconta le ironiche sfumature con seguitissimi contenuti divulgati sulla rete. Lo abbiamo raggiunto nella sua bellissima factory nel cuore del quartiere Coppedè, dove svolge la sua prolifica attività imprenditore digitale, attraverso l’affermazione di un’identità aziendale fatta di amici e gente di famiglia, impegnata con costanza in uno spazio altamente stimolante, in cui Guglielmo protegge la sua totale libertà di espressione.

Mucca TalkShok ha raggiunto Guglielmo Scilla per un’intervista carica di significato e contenuti tutti da scoprire!

Sei stato tra i primissimi nativi digitali ad affermarti come beniamino della rete. Qual è il tuo punto di vista sulle nuove generazioni di web creators?
Stavo per rispondere “non sono abbastanza gay”, ma la domanda è palesemente un’altra. Ok! (sorride, ndr.). Secondo me la creatività è cambiata molto da quando ho iniziato io. Inizialmente c’era una ricerca maggiore dell’espressione personale, mentre adesso l’espressione è spesso figlia del “copiare un trend”. Tik Tok per esempio, è fatto di un sacco di persone in più che lavorano e pubblicano contenuti ma, di base, non ci sono molti contenuti originali. Si copia l’eventuale trend del momento e la mia paura, è che così facendo non si promuova più di tanto la creatività e dunque, l’identità.

Trovi soddisfacenti i nuovi linguaggi, sempre più veloci e forse un po’ scarni?
Devo rispondere di sì perché potrei passare per il “vecchio” di turno che potrebbe dire la solita frase “quando ho iniziato io…”. E dunque sì, funzionano, magari non parlano a me, ma indubbiamente “arrivano” con la loro immediatezza.

Completa questa frase: l’immediatezza è una virtù solo se…
Solo se dice qualcosa!

Tra web, radio e cinema, qual è il tuo strumento preferito e perché?
In realtà il mio preferito è la scrittura, ma perché io non sono un abilissimo oratore. Trovo che le parole scritte abbiano la “fortuna del tempo”. Sia nello scriverle che nel riscriverle. Tu non hai mai la possibilità di ri-parlare o ri-dire esattamente quello che hai già detto. Se potessi eviterei l’apparire in virtù della costante scrittura.

Hai scritto tre libri, dobbiamo aspettarci un quarto? Se si, su quale argomento ti piacerebbe scrivere e perché?
Si, mi piacerebbe molto scrivere ancora. Ci sono molte storie che mi frullano in testa da quando ho pubblicato l’ultimo libro. In questi sei anni dall’ultima pubblicazione ne ho individuate molte ma non so ancora quale sia la più idonea su cui concentrarmi per il mio prossimo romanzo.

Nel 2017 hai fatto coming out. Com’è cambiata la tua vita un attimo dopo la tua rivelazione al pubblico?
Devo dire che è stato pazzesco, perché ho fatto un coming out che è stato molto apprezzato per non essere stato accompagnato da lacrime, paure e ansie. Forse, se lo avessi fatto un mese prima, quelle ansie e quei dolori invece ci sarebbero stati, perché sono cose reali. Io pensavo che la mia vita non sarebbe cambiata e, nel momento in cui l’ho fatto, io avevo accettato tutto quello che poteva accadere. Nel momento in cui l’ho fatto non ho avuto quel “senso di colpa” che spesso c’è e che è indotto dalla società, ma io non lo sentivo, perché ero arrivato al punto in cui avevo compreso che qualsiasi fosse stata la reazione altrui, non doveva essere un problema mio. A me non interessava. Pensavo in virtù di questo, che la mia vita non sarebbe cambiata e invece è mutata totalmente, perché mi sono scrollato di dosso quel peso che mi portavo da sempre. Immediatamente dopo pensai due cose, la prima è che “nessuno più poteva avere potere su di me” e l’altra e che un giorno, uscendo di casa pensai, “ma forse è troppo gay questa roba”, ma subito dopo seguì un bel “ma sti cazzi”, con cui ho mandato al diavolo quella sorta di “omofobia” che per primi noi stessi ci portiamo dietro nascondendoci.

Cosa pensi dei volti noti che non trovano ancora il coraggio di rivelare la propria sessualità e cosa potresti consigliare loro?
Io penso che abbiano tutto il diritto di non farlo, perché io ricordo ancora i motivi che spingevano me a non farlo. Io ho sentito il bisogno di farlo proprio perché prima avevo la necessità di nascondermi. È come se io fino a quel momento stessi vivendo una vita sempre in giacca e cravatta. Si, puoi star bene ma, ad un certo punto hai anche bisogno di stare comodo con una bella tuta o un bel pigiama… quello che voglio dire è che, con il coming out, ho finalmente concesso al mio corpo di muoversi libero nel mondo. Per quanto riguarda i consigli, non riesco a darne, così come non riesco a dare giudizi. Se una persona non lo fa, è perché evidentemente non si sente ancora abbastanza forte per farlo.

Tiziano Ferro e suo marito sono diventati genitori. Cosa pensi dell’omogenitorialità e della GpA?
La domanda mi fa sorridere perché in realtà è come se mi stessi chiedendo “cosa pensi dei genitori” e quindi, mi sentirei stupido nel commentare la genitorialità. Oggi in realtà è importante esser vicini ai genitori, omo o etero che siano, questo perché io vengo da un contesto familiare in cui i problemi interni al nucleo familiare hanno giocato un ruolo fondamentale nella mia crescita e dunque, spero solo che siano “buoni genitori”. Per quanto riguarda la GpA, penso che una donna debba esser libera di gestire il proprio corpo come vuole, aldilà dei concetti bioetici. In fondo è come se stessimo giudicando qualcuno che magari non ha un arto e ha bisogno di una protesi, come se dicessimo “eh vabbè ma le tue gambe non sono vere, la natura non te le ha date”… lo trovo assurdo.

La tua reazione all’affossamento del DDL Zan qual è stata e cosa prevedi per il futuro della legge?
La mia è stata una profonda delusione. Niente rabbia o altro, solo tanta delusione. La grande minaccia dei social è che a volte ti segue gente che è molto affine a te, poi invece apri un altro profilo – magari anche di un grosso media o giornale – e sotto il post di turno sul tema, leggi dei commenti assurdi e pensi, “cavolo, viviamo nello stesso mondo”. Leggendo cose simili tendo a sentirmi come se fossi una “calamita” per la feccia della società. La reazione delle piazze è stata notevole ma è necessario arrivare alla gente, aldilà dei pride. Questo perché non sempre la nostra classe politica rispecchia totalmente la società e le sue necessità. Io credo che fino ad un certo punto si possa arginare una diga che ormai ha visto aprirsi le sue prime fessure… questo è un dialogo che ormai è iniziato e il flusso non può far altro che continuare a scorrere, per sfociare molto presto in una conquista.

Le nuove generazioni sono molto fluide e spesso scansano le definizioni. Pensi sia ancora necessario identificarsi in una sigla come LGBTQI+?
Questa è una bella e corretta domanda che sarebbe ancor più giusta tra un bel po’ di tempo. Oggi, in questo nostro tempo, la gente omosessuale in qualche parte nel mondo – non molto distante da noi -, viene ancora incappucciata e buttata giù dai palazzi. Anche se non succede in Italia, non significa che non abbiamo l’obbligo di dover essere attenti a ciò che accade intorno a noi e dobbiamo farlo perché è anche una questione di identità e di affermazione di sé. Dunque, al giorno d’oggi sì, è ancora necessario – ma è anche possibile non definirsi affatto, come spesso accade per coloro i quali si ritengono fluidi.

C’è un programma TV che ti piacerebbe condurre e se sì, quale?
Mi piacerebbe che esistessero programmi più inclusivi, che siano in grado di rappresentare l’Italia di oggi nella sua varietà. Spesso la fetta di umanità che viene rappresentata in TV è sempre la stessa, fatta di luoghi comuni che dovrebbero lasciare il posto a profili nuovi, che non risultino come “caricature” di ciò che siamo. Devo dire che le alternative in prima serata, in chiaro, hanno spesso questo tipo di caratteristiche che mi piacerebbe veder sostituite da qualcos’altro di più attuale. Vorrei più roba come “Una pezza di Lundini”, che trovo decisamente nuovo e spesso geniale, per merito di Valerio Lundini e di tutta la squadra che ci lavora e che ha avuto la forza di scommettere su una cosa del genere.

Come reagisci alla violenza sulla rete? E all’omotransfobia?
Reagisco con tristezza e in questo momento, parlo proprio alle persone che “attaccano”. Io provo un enorme dolore nel constatare che cose come queste, esistono ancora e continuano a far male alle persone, perché questo è un dolore che io non provo più. Io ad oggi sono nella situazione in cui – per assurdo – “essere gay” mi rende più forte. Molte persone, se avessero una bacchetta magica, cambierebbero la propria sessualità per smettere di soffrire o subire insulti. Scoprire che la rete è un luogo in cui c’è così tanta violenza, mi fa preoccupare non poco e mi fa molto incazzare il fatto che troppa gente è morta, in attesa che qualcuno si curi di questo fenomeno di violenza così diffuso. Continuiamo a non dare il giusto peso alle parole, che in realtà sono una vera e propria arma di distruzione, spesso più forti di tante altre.

Sei un comunicatore di professione, consapevole di quanto sia necessario anche il gradimento sonoro di quello che diciamo. La musicalità aiuta lo svolgimento del concetto. Sulla base di questa premessa, sei favorevole all’utilizzo dello schwa, nonostante la poca sonorità che questo sostantivo si porta dietro?
Sarò sincero, lo schwa per me è molto difficile da utilizzare, spesso in italiano. In inglese funziona ma nella nostra lingua è un vero “dramma”. Dobbiamo cercare un modo per girarci intorno con l’italiano, per trovare un linguaggio inclusivo che renda quello che scrivi e quello che leggi godibile per tutti, sia per chi sta leggendo che per chi sta ascoltando.

 

Intervista a cura di Roberta Savona


Credits

Foto: Willwoosh Team